giovedì 21 dicembre 2017

OSPITI SGRADITI Anne Givaudan

Ospiti Sgraditi

Ospiti Sgraditi - Anteprima del libro di
Anne Givaudan


Il Parassita

Vi sono diverse definizioni per la parola “parassita”, tra cui anche quella di “ospite sgradito” che ho appena usato. Se diamo un’occhiata al dizionario Larousse, ne troviamo una piuttosto adeguata: «Il parassita è colui che vive a spese di un gruppo o ne impedisce il funzionamento intrufolandovisi da parassita».
Spesso siamo inclini a pensare che i nostri problemi siano dovuti a fattori esterni a noi, ed è un bel modo per sottrarsi alla responsabilità di tutto ciò che facciamo, perlopiù inconsciamente, per generare le nostre stesse difficoltà.
Oggi, tuttavia, s’incomincia ad accettare il fatto d’essere creatori...
Creatori delle cose che attiriamo, che si tratti di eventi gradevoli o di quelli di cui preferiremmo non dover mai fare esperienza.
Le nostre forme-pensiero agiscono come grandi caiamite17 e attirano verso di noi cose che corrispondono a quello che emettiamo attraverso i pensieri, le azioni o le parole.
Ci accorgiamo, così, che non è il tale o il talaltro a renderci la vita infernale, ma che siamo noi stessi ad attirare a noi una persona o un evento in funzione delle forme-pensiero di cui siamo stati i creatori.
Naturalmente è molto più comodo pensare il nostro malessere o addirittura le nostre malattie siano dovuti a qualcosa che viene dall’esterno, ma fintanto che non saremo capaci di accettare per intero la responsabilità della nostra vita, sarà difficile ritrovare la libertà e la potenza che, unite alla Luce, sono in noi da sempre, e che altro non chiedono se non di potersi esprimere.
Esamineremo un altro fenomeno emergente, che consiste nell’attribuire le nostre difficoltà e incompetenze al malocchio, in vari modi declinato, e ad entità parassite.
Malefici, fatture e magia nera, così come le entità dei mondi invisibili, i “parassiti psichici” e quant’altro, sono sempre esistiti, e non sarò io a negarlo; tuttavia è importante, ancora una volta, prenderne un po’ le distanze, e raccogliere abbastanza dati per non cascare nelle trappole dell’ego che cerca sempre un responsabile per il suo malessere.
Una conoscenza un po’ più approfondita ci permetterà di affrontare meglio qualcosa che, fin qui, è stato per molte persone destabilizzante: conferiamo potere, infatti, a tutto quello che non conosciamo.
Vi propongo dunque ancora una volta di aprire la porta su una realtà “insolita”, così da scoprire che il nemico non è precisamente là dove pensiamo che sia e che perlopiù abita dentro di noi.
Molto spesso la gente mi dice: «Sono bloccato nel mio cammino, nulla mi riesce bene, sono arrivato a credere di essere infestato da qualche entità parassita».
In questo capitolo affronteremo dunque i vari tipi di ospiti sgraditi e di “entità parassite” per andare alla causa che più frequentemente ci disturba: l’auto-infestazione.
Ecco isegni della presenza dì un’entità:
  • comportamenti compulsivi e irrazionali;
  • sentirsi attratti dalle cose nocive, come i culti satanici, le orge;
  • mutilazioni: tatuaggi, operazioni che trasformano la persona in un essere diabolico (come il rendere i canini più acuminati o lo sdoppiare la lingua);
  • una vita dissoluta, che nutre questa entità;
  • impossibilità di meditare: la meditazione si oppone all’entità, che non sopporta la Luce;
  • sentirsi impediti nel vivere una relazione amorosa (attenzione: questo non vuol dire che se non avete ancora incontrato l’amore siete infestati!).
L’influenza di un’entità si manifesta così:
  • assorbe energia dall’ospite;
  • lo trascina in azioni violente, nelle dipendenze, negli abusi;
  • ne ingigantisce le emozioni oltre il normale;
  • in contropartita, gli dà importanza: a volte ci è accaduto di chiedere ad una persona di dirci, su una scala da 0 a 10, quanto davvero desiderasse separarsi da quell’entità, e di rimanere parecchio sorpresi nel sentirci dire 7 o 8... Il fatto è che la persona in questione non si sente più sola, può ricevere messaggi e godere di uno status privilegiato nei confronti altrui, quindi è lei stessa a cercare l’entità che l’aiuterà, che si occuperà di lei.
  • i suoi desideri sono amplificati, ma anche le sue emozioni: vive dunque molto intensamente.
Guardiamo dentro di noi quale porta abbiamo aperto all’entità che abita in noi; senza sentirci colpevoli per questo, ne siamo comunque responsabili.
TIPOLOGIA DI OSPITI SGRADITI
I famigliari

La storia di Silvia

Silvia (il nome è di fantasia) arriva ad un nostro seminario pochi mesi prima, le è morta la nonna.
Una volta esclusa la tristezza dovuta al lutto recente, e sapendo che la sua nonna si era presa cura di lei per buona parte dell’infanzia, abbiamo orientato le ricerche in altra direzione.
La ragazza si rimproverava di non essere stata accanto alla nonna nel momento della sua morte; l’anziana signora era malata, in declino, ma Silvia, nella sua sventatezza, aveva preferito non pensare che la nonna sarebbe presto mancata...
La giovane donna ci racconta che questa nonna materna aveva perso una figlia in giovanissima età, la sua primogenita, e si era poi aggrappata alla nipotina come ad un’ancora di salvezza. Peraltro non aveva mai avuto un vero posto all’interno della famiglia per il semplice fatto di essere donna: ai suoi tempi, in una società contadina, gli uomini non avevano alcuna considerazione per le donne della famiglia, relegate al ruolo di domestiche senza peraltro godere del vantaggio di uno stipendio.
L’unico conforto nella sua rude vita era stato l’arrivo di Silvia.
La madre di Silvia lavorava in fabbrica, e quindi le restava poco tempo per sé e per la piccola che affidava volentieri alla propria mamma; anche in quella generazione sembrava ripetersi il solito schema, con un marito che non aveva stima per sua moglie, o perlomeno era così che la mamma di Silvia raccontava la sua relazione coniugale, spesso conflittuale. Si sentiva sfruttata a fondo, senza nessun riconoscimento da parte dell’uomo. Non vi è dunque nulla di particolarmente originale in questa storia, senonché Silvia sentiva che stava insidiosamente scivolando lungo la stessa china di tutte queste donne della sua famiglia, e questo proprio non lo voleva: nonna, madre e figlia erano state cresciute tutte e tre nel rispetto del maschio, sentendosi in compenso inadeguate a soddisfarlo e perlopiù inferiori a lui.
Silvia cercava disperatamente di uscire da quel circolo vizioso, forse risalente a molte generazioni prima; le costellazioni familiari l’avevano aiutata a mettere a fuoco il problema, cogliendo con maggiore precisione e acutezza il proprio ruolo e la scarsa autostima di cui disponeva.
Durante i nostri seminari l’avevamo vista trasformarsi, ma pareva che la morte della nonna l’avesse fatta ricadere in una vecchia modalità comportamentale, che non desiderava più.
Quando le chiedemmo di descriverci i cambiamenti interiori che aveva notato, ci descrisse le proprie giornate come un’interminabile lotta fra due parti di se stessa: una che cercava di mettersi in luce attraverso le azioni e le prese di posizione, e l’altra che la sminuiva terribilmente. Fisicamente, soffriva di un continuo dolore alla spalla sinistra.
In occasione di una lettura dell’aura, vedemmo chiaramente una figura che era quasi incollata al lato sinistro di Silvia. Era più magrolina, più bassa, ma visibilmente aggrappata alla spalla sinistra.
Chiedemmo allora a Silvia di parlarle come se fosse la nonna. Silvia ebbe l’impressione che avessimo colto nel segno.
Mentre spiegava alla nonna quanto le fosse dispiaciuto non essere stata presente nel momento della sua dipartita, vedemmo quella figura diventare più luminosa e raddrizzarsi. La defunta ascoltava attentamente. Fu in quel momento che ne colsi le parole:
«Silvia, ti voglio bene, volevo solo rimanere ancora un poco con te e aiutarti affinché tu non facessi come ho fatto io».
La ragazza ascoltava silenziosa. A mia volta, risposi interiormente alla nonna:
«Vedo che vuoi un gran bene alla tua nipotina, ma Silvia percepisce lo smarrimento e la tristezza che ti hanno accompagnata per tutta la vita; e questo, per lei, è molto pesante».

A dialogo aperto

Il dialogo era ormai aperto.
«E allora, cosa posso fare per lei?»... sentivo che la nonna era attenta.
«Forse la potrai aiutare un po’ più tardi, prima è importante che prima tu risani ciò che ti ha fatto soffrire. C’è un mondo che ti aspetta, in cui ritroverai le persone che hai amato, dove sarai accolta dalla figlia che hai perso, ne sono certa».
La figura si volse verso di me, visibilmente sorpresa all’idea che potessi vederla e anche sentirla. La sua voce cambiò:
«Non ti conosco, ma ti ringrazio perché ti prendi cura della mia nipotina. Non so perché, ma sento che hai ragione. ..»
La figura sembrò diventare meno densa e si allontanò un poco dal corpo di Silvia.
«Non ti preoccupare, potrai in futuro aiutarla tantissimo; prima, però, bisogna che lei faccia la sua strada, e che tu faccia la tua».
Percepii un alito fresco passarmi accanto, e una voce più lieve mormorare:
«Ci sono altre belle persone che sono già venute a dirmi questo... Grazie».
Antoine e io le suggerimmo, allora, di pensare ai suoi cari che se n’erano andati prima di lei e che aveva amato. Per una attimo si riavvicinò alla nipote, le diede un bacio sulla guancia sinistra, e poi svanì.
Silvia era commossa.
Sapevamo di aver fatto la nostra parte, e che era già pronto un altro contatto che avrebbe condotto la nonna là dove la sua anima desiderava andare.
Da quel momento, la giovane donna si sentì più serena, più leggera.
L’abbiamo rivista ancora, in seguito: sta imparando a coltivare l’autostima e l’amore per se stessa. È consapevole che, quando ci riuscirà, le donne della sua famiglia, tanto a monte quanto a valle, attraverso di lei guariranno dalle loro ferite, sebbene l’obbiettivo rimanga, soprattutto, la sua guarigione.
In questo caso particolare, si potrebbe parlare di interferenza, giacché la nonna impediva involontariamente alla nipote di vivere la propria vita. Va detto, comunque, che non c’era in tutto questo alcunché di negativo, nessuna cattiva intenzione. Spesso anche i genitori agiscono in questo modo quando vogliono aiutare un figlio e gli si aggrappano convinti di dargli così il loro sostegno.
Il processo di liberazione è stato molto veloce, in quanto la nonna amava Silvia sinceramente, e voleva solo il suo bene; di conseguenza era pronta ad ascoltare quello che le abbiamo detto. Un altro vantaggio era essere consapevole della propria morte giacché, grazie alla malattia, aveva avuto tutto il tempo di rendersi conto dell'imminenza della fine fisica.
Però non sempre le cose vanno in questo modo, e qualche volta ci vuole più pazienza e maggiore perseveranza perché un’entità smetta di aggrapparsi al corpo fisico altrui.

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